Il Codice dell’Anima

James Hillman

Sono le statistiche di una psicologia evolutiva normalizzante a stabilire i parametri rispetto ai quali giudicare le complessità fuori del comune di un’esistenza. La malattia vera è la diagnosi sommata alla statistica.

 

L’immagine ha a cuore il nostro interesse perché ci ha scelti per il proprio (interesse).

 

Il modo di pensare la solitudine parte da due assunti: il primo afferma che la solitudine coincide con l’essere soli, letteralmente, e dunque è rimediabile per mezzo di una qualche azione umana, per esempio il pentirsi dei propri peccati, il cercare rapporti terapeutici, il costruirsi il progetto della propria vita con le proprie eroiche mani. Secondo, tutti danno per scontato che la solitudine sia fondamentalmente un sentimento spiacevole.
Ma se esiste un senso di solitudine archetipo, che ci accompagna fin dall’inizio, allora essere vivi è anche sentirsi soli. La solitudine viene e va indipendentemente dalle misure che possiamo prendere. Non dipende dall’essere soli, letteralmente, perché si possono provare fitte di solitudine mentre siamo in mezzo ai nostri amici, al microfono davanti a una folla osannante.
Quando i sentimenti di solitudine sono visti come archetipici, ecco che diventano necessari; non sono più annunciatori di colpe, di errori. Possiamo accettare la misteriosa autonomia di questo sentimento, liberando la solitudine dall’identificazione con l’isolamento letterale. Oltretutto, una volta situata sul suo sfondo archetipico, la solitudine non è sempre e principalmente spiacevole.
Se guardiamo (o meglio sentiamo) da vicino il senso di solitudine, scopriamo che è composto di diversi elementi: nostalgia, tristezza, silenzio e un anelito dell’immaginazione verso qualcos’altro che non è qui e ora. Perché queste componenti e immagini si mostrino, dobbiamo innanzitutto mettere a fuoco l’attenzione su di essa, anziché su come rimediare al fatto di essere soli in senso letterale. La disperazione diventa più brutta quando cerchiamo delle vie per uscirne.
La solitudine presenta le emozioni dell’esilio; l’anima non è riuscita a crescere, cioè a discendere, del tutto nella vita e vorrebbe tornare a casa. Dove? Non sappiamo, perché il luogo di cui parlano i miti e le cosmogonia è scomparso dalla memoria. Ma il desiderio dell’immaginazione e la tristezza testimoniano di un esilio da qualcosa, che l’anima non sa esprimere in altro modo che come senso di solitudine. L’unica traccia che ne sia rimasta è quella nostalgia del sentimento e quello struggimento dell’immaginazione. È uno stato di bisogno che va oltre i bisogni personali.

 

L’uomo che ha perduto il suo angelo finisce per assomigliare a un diavolo; e allora l’assenza, la violenza con la paralisi sul divano dello psicoanalista sono tutti sintomi dell’anima alla ricerca della perduta vocazione verso qualcosa di altro e di oltre. L’oscillare del padre tra la rabbia e l’apatia, al pari delle allergie e di disturbi comportamentali dei suoi figli e delle depressioni e dei queruli risentimenti di sua moglie, sono parte di un modello al quale partecipano tutti insieme, non già la “famiglia come sistema”, bensì un sistema economico banditesco, che promuove la loro comune insensatezza sostituendo gli oltre con i di più.
Ecco dunque dove lo chiama la sua assenza – fisica, psicologica, spirituale: lo chiama fuori dalla gabbia del delirio americano che spezza le ali all’Angelo. Presente con il corpo, assente con lo spirito, il padre americano si svaga sul divano, svergognato dal suo stesso daimon per le potenzialità che la sua anima possiede e che non vogliono lasciarsi soffocare. Soluzione: più lavoro, più soldi, più alcolici, più chili, più informazioni, più televisione; lo scopo è unicamente rendere felici i figli.
I genitori hanno in questi decenni lo scopo di rendere felici i figli. Ma può chi è infelice produrre felicità? Poichè la felicità alla sua antica fonte era eudaimonia, cioè un daimon contento, soltanto un daimon che riceve ciò che gli spetta può trasmettere un effetto di felicità all’anima di un bambino.
Il deficit dell’attenzione che padri e madri mostrano nei confronti della personale vocazione con la quale sono nati, costituisce un tradimento della ragione per cui essi, come individui, sono su questa terra. Quando mio figlio diventa la mia ragione di vita, significa che ho abbandonato la ragione invisibile della mia vita.
Il mondo primordiale degli spiriti è stato rimpicciolito negli idoli concreti e umani, troppo umani, di due figure individuali (mamma e papà). Il processo di riduzione operato dalla religione ufficiale su quello stupendo serraglio di antenati ha impiegato secoli a essere completato. Noi lo chiamiamo processo di civilizzazione.

 

Il mito platonico della discesa dice che l’anima discende in quattro modi: attraverso il corpo, i genitori, il luogo, le condizioni esterne. Possiamo prenderli come istruzioni per completare l’immagine che ci siamo portati con noi al nostro arrivo. Dobbiamo accettare di essere un membro della nostra famiglia, di essere a soggetti alla forza di gravità e che abitiamo in un luogo adatto alla nostra anima che lega a sé con doveri e usanze, in ultimo è necessario restituire con gesti che dichiarano appieno l’attaccamento al mondo, le cose che l’ambiente ha dato.

 

La somiglianza più grande tra le due personalità (Judy Garland e Jospephine Baker) esamina e risiede nella fascinazione che entrambe esercitavano, nella loro capacità di rappresentare un aspetto trascendente dell’anima umana che parla all’anima di ciascuno degli spettatori. E come se esse sapessero mettere in mostra il daimon, lasciarlo vedere e udire.

 

 TORNA ALL’ELENCO DEGLI AUTORI

Chi sono

Ho sofferto di depressione per molti anni a causa di svariate ragioni, dai traumi alla sensibilità esistenziale. Ma ho trovato la strada per uscirne e voglio condividerla.

Cosa faccio

Oltre a cercare di diventare me stessa, organizzo in FVG incontri di gruppo e individuali, soprattutto legati alla meditazione e alla realizzazione dei propri sogni.

Mission

Condividere fa parte del mio percorso personale, cerco di aiutare le persone a scovare il loro Cammino camminando io per prima, non si può “insegnare” senza aver imparato.

Share This